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Erano i primi anni 70, l’eco della grande manifestazione musicale a Woodstook era ancora nell’aria, i ragazzi di tutto il mondo portavano capelli lunghi, pantaloni a zampa d’elefante e t-shirt inneggianti alla pace e alla libertà globale. Il sistema d’un tratto riconosceva il cambio generazionale come qualche cosa di nuovo e di diverso rispetto a ciò che era il vissuto del decennio precedente.

La musica era diventata un caposaldo per tutti e un nuovo tempo di condivisione. I grandi artisti, le band (all’epoca chiamate complessi) imperversavano in ogni parte del mondo, provocando giorno per giorno nuove idee, stimoli, emozioni e intuizioni. L’industria discografica proponeva, a un vastissimo pubblico, personaggi sempre nuovi che nel tempo sarebbero divenuti vere icone della storia della musica.

I 33 giri, diventavano parte integrante del fabbisogno domestico, sostituendo in maniera preponderante i 45 giri. Gli album, vere opere d’arte con copertine anch’esse divenute parte dell’espressione di creatività e innovazione, segnavano il passo con storie, canzoni, musiche che, con l’andare degli anni, avrebbero marcato quegli anni come – gli anni della rivoluzione musicale – in tutto il mondo.

Ogni persona, ogni nucleo familiare aveva un giradischi, o meglio un impianto stereo ben posizionato nel salotto di casa corredato di libreria per mostrare le proprie collezioni di dischi, che impreziosivano il valore del gusto dell’abitazione e innalzavano il livello di cultura di ognuno. La musica era social, permetteva di conoscerci con la sola domanda – tu che musica ascolti?

I ragazzi, i giovani, nelle loro stanze ritagliate su misura dove non mancavano mai manifesti appesi alle pareti (Gruppi rockfoto del vagabondoscritte sulla rivoluzione ) e una chitarra Eko appoggiata all’armadio grande. Si perchè allora tutti suonavano qualcosa e sognavano di diventare una rock star o almeno un cantautore popolare.

Il sabato era il giorno atteso, quello contato durante la settimana, un appuntamento fondamentale.

Subito dopo pranzo l’appuntamento era in un punto preciso della città. Non c’erano telefonini o messaggi, solo la voglia di esserci e la puntualità. Alle 15,00 incominciava il giro nel centro, con un punto fisso irrinunciabile: i negozi di dischi.

La compagnia si muoveva così. Cercando ognuno il proprio 33 giri, discutendo con gli amici sui vari generi e sulle scelte musicali di ognuno. Chi i Pink Floyd, chi i Deep Purple, chi De Gregori e chi Baglioni. Un drappello di cultori della musica con sottobraccio Ciao 2001, alla ricerca di note, suoni, esperienze nuove tutte da scoprire e condividere con gli altri. Alle 17,00 si decideva chi, dei tanti amici, avesse a casa l’impianto hi-fi migliore e si andava lì, ognuno con il proprio disco da ascoltare.

Era quasi un momento sacro, quello di abbassare la puntina sul microsolco e stare tutti in silenzio seduti a terra sulla moquette ad ascoltare l’ultima novità del momento o il disco storico per eccellenza. Tutti lì, insieme, con le copertine tra le mani e l’attenzione ai suoni, ai testi, alle parole, agli arrangiamenti. Ognuno negli occhi degli altri, a sottolineare un passaggio di basso, il suono di una tastiera o un passaggio ritmico della batteria. Si scoprivano mondi sconosciuti, si passavano ore a dibattere su chi fosse meglio, se i Beatles o i Rolling Stones.

Tutti lì, in quell’angolo di vita che si chiamava Musica.

Guido Tognetti

 

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