Ci sono copertine che diventano parte integrante del nostro modo di vivere. Ora ci basta vedere un prisma, un raggio di luce bianca che si diffonde con i sette colori principali, che non pensiamo a una formula fisica o a uno studio di rifrazione ottica. Tutti noi immediatamente ci colleghiamo al pensiero di quell’album ormai eterno dei Pink Floyd con il titolo – The dark side of the moon –
Negli anni della grande creatività artistica, la musica è riuscita a compiere un miracolo artistico anche nell’immagine, basti pensare ad altri album che concettualmente hanno un aspetto – semplice – ma che intuitivamente sono diventati negli anni un – simbolo – la mucca – di Atom earth mother – o la fabbrica di – Animals –
Pink Floyd, una band inglese che ancora oggi vede nelle classifiche di tutto il mondo quasi sette dischi di loro produzione nei primi posti delle top ten di vendita.
Il mio primo album dei Floyd lo barattai erronamente con un mio compagno di scuola che si prese il doppio 33 giri degli Who – Tommy – “mollandomi” (a parere suo) un capolavoro estratto dalla colonna sonora di un film psichedelico di sommo valore culturale.
Il mio approccio partì da lì, ovvero con un album soundtracks che permeava i solchi di strani suoni, effetti psichedelici con ondate immaginarie di temi musicali inerenti alle immagini di quel film, che soltanto molti anni dopo ho avuto modo di vedere e che, con la conoscenza dell’età adulta, ho saputo ben apprezzare.
Ma allora era diverso, ero un ragazzetto magro che nuotava nell’oceano della musica internazionale, ogni volta salendo su una zattera nuova di proposte e novità.
Barattai quello stesso album dopo pochi giorni con un altro amico già pregno di conoscenza e musica rock che, al contrario mio, trovò quella composizione geniale e fu ben felice di darmi, come cambio, un disco dei Grand Funk Railroad.
La mia giovane mente, però, non si dava pace nel comprendere perchè tutti parlassero così bene dei Pink Floyd e io li trovassi invece così difficili da digerire. Probabilmente, pensai ingenuamente, il mio gusto è più legato a gruppi come i Deep Purple o i Led Zeppelin e per questo non riuscivo a comprendere lo stile compositivo di Waters e company ma… come sempre succedeva in quegli anni, durante un sabato pomeriggio a casa di amici per l’ascolto delle ultime novità acquistate, giunse un ragazzo che non avevo mai visto con sottobraccio un sacchetto dal quale estrasse un album dalla copertina nera, con un prisma al centro.
Non c’era scritto il nome della band e neppure il titolo del disco, ma subito ci fece togliere quello che stavamo ascoltando dicendo che stava per mettere sul piatto il capolavoro universale della musica e che tutti avremmo dovuto stare in raccoglimento per godere appieno di quei suoni straordinari e unici.
Con il mio carattere timido e introverso non replicai a quella richiesta quasi dettata come un ordine, mi misi buono buono su un angolo del divano della sala dei genitori del mio amico e restai ad ascoltare ciò che avrebbe dovuto essere la svolta e l’essenza di un mondo musicale nella sua totalità.
E così fu.
Tutti restammo silenziosi e attenti nel fruire di note e canzoni, parti strumentali e canti, composizioni e costruzioni armoniche. Ci godemmo tutto d’un fiato il Lato A e il Lato B e soltanto alla fine, colmo di entusiasmo musicale, sussurrai alla persona che mi era a fianco la domanda più banale che un ragazzetto potrebbe fare – ma chi sono? –
Lui si voltò sgrandando gli occhi e scostandosi leggermente da me come se avessi detto un’eresia o fossi affetto da chissà quale strana malattia.
Scosse la testa e abbassando leggermente la schiena in segno di scoramento mi disse con una voce limpida e precisa: Pink Floyd – The dark side of the moon – Album capolavoro.
Mi sentii confuso e mortificato, pensando che conoscevo benissimo la band, ma non era certo quella dell’album che avevo sentito io e che avevo scambiato immediatamente con un altro 33 giri. Quelli erano i Pink Floyd, pensai, ecco perchè tutti ritenevano quella band una delle principali grandi proposte storiche della storia del rock.
The dark side of the moon.
Finalmente avevo compreso. Ma per uno strano vizio di forma o di rivalsa nei confronti di quel ragazzo, che un poco mi aveva mortificato, non lo comprai anzi ignorai quel gruppo per altri tre anni, dedicandomi ad altri suoni e altre tendenze musicali.
Ma un sabato passando davanti alla vetrina di un negozio di dischi al centro della città, la vidi strapiena di un album che aveva la copertina completamente nera, con a fianco un’adesivo disegnato dove due mani meccaniche si stringevano in un saluto. Entrai chiedendo al negoziante a chi appartenesse quel disco senza nome e senza titolo. Anch’esso, proprio come successe anni prima a casa del mio amico, mi guardò strabuzzando gli occhi con un fare misto di sufficienza e pomposità: E’ il nuovo album attesissimo dei Pink Floyd si chiama Wish you were here.
Notai quasi la compassione nei suoi occhi nel vedermi ragazzetto e, a parer suo, totalmente impreparato sulle grandi opere rock e sul percorso musicale di quegli anni. Mi sentii avvolgere da sconforto e da un senso di rabbia. Quando feci per uscire dal negozio ci ripensai e con un senso di sfida estrassi il mio minuto portafoglio e lo acquistai… ma non mi fu sufficiente, dovevo essere ancora più forte e far capire che almeno un poco di musica me ne intendevo.
Il negoziante mi guardò, curioso probabilmente di ricevere qualche altra domanda, ma lo ignorai. Cercai di darmi un tono guardandolo negli occhi. Mi dia anche – The dark side of the moon –
Guido Tognetti