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Il tempo era quello di un ragazzo di quindici anni, appassionato di vinili che iniziava ad ampliare le proprie conoscenze musicali, grazie allo scambio di idee e 33 giri con gli amici e i compagni di scuola.

Era un universo immenso e inesplorato, ognuno di noi spaziava attraverso note e voci mai ascoltate, che diventavano patrimonio da condividere con il proprio tempo libero. Si spaziava dal rock al pop, passando attraverso il prog e la musica italiana.

Una band, a parte qualche singolo, non aveva destato mai il mio interesse. O meglio, restavo affascinato dalle copertine sicuramente innovative e rivoluzionarie, ma quei quattro volti di Liverpool non mi avevano mai convinto a pieno, e così, ogni volta, nello scaffale di dischi nella lettera B restavano in negozio senza diventare parte della mia collezione personale.

Ma un Natale ricevetti come dono un libro illustrato che raccontava la storia di ogni album, le registrazioni dei pezzi, le intuizioni, le idee e gli sviluppi artisti della carriera dei Beatles.

Fu proprio in quel momento che, partendo in maniera completamente all’opposto, ovvero leggendo storie di canzoni senza ascoltarne una nota, che mi incuriosii al punto da trovare il viaggio artistico musicale dei Fab Four un vero punto di riferimento da cui ogni altra band aveva attinto un percorso.

Il fascino del modo in cui Lennon e McCartney componevano le canzoni, si univa alla genialità in cui esse veniva proposte, scoprendo come l’intero itinerario beat influiva non solo sui gusti musicali, ma anche sullo stile di vita, creando una vera e propria generazione pop-rock-beat.

Il percorso al contrario mi aveva convinto, era ora di andare ad acquistare gli album per poter ascoltare e comprendere ciò che avevo letto. Per essere coerente con una esplorazione così particolare, decisi di comprare l’ultimo disco della loro produzione – Let it be –  disco stranissimo per l’epoca, che mostrava tra l’altro i segni di una band ormai stremata da una crisi interiore. Lo trovai sublime, ruvido, graffiante, grezzo, potente. I brani come scavati tra i solchi di una formidabile energia visiva, entravano nella mia mente di ragazzo esaltandola, al punto da imprimere nei miei desideri la voglia di possedere l’intera discografia di un gruppo che avevo erronamente ignorato.

La musica si inanellava alle storie delle copertine, tra la genialità di Sgt Pepper, alla psichedelia di Magical Mistery Tour, all’innovativo Revolver, per poi, come con una veloce macchina del tempo, arrivare ad Help, Rubber soul, Please Please me. Ogni album lo ascoltavo all’infinito, e ogni volta ne traevo un gusto e una meraviglia continua, scoprendoci suoni, stili, novità, intuizioni, mai immaginate prima.

I Beatles presero immediatamente la pole position delle mie band preferite. Il fuoco della passione bruciava in quella mia anima adolescenziale che brillava nella continua scoperta di meraviglie musicali, che diventavano essenza dell’esistenza stessa. I Beatles, un viaggio, un simbolo, un’icona mai persa nel corso di tutti questi decenni.

Ancora adesso quando mi capita ,come si fa sempre, di confrontarsi musicalmente con altre persone, racconto di come sia stato affascinante scoprire quella musica attraverso un libro per poi passare successivamente all’ascolto delle canzoni.

I Beatles, una ventata di innovazione durata meno di dieci anni. Un’esplosione di creatività che nessuna band (a parer mio) ha saputo eguagliare nello stesso modo. A volte mi chiedo cosa sarebbe accaduto se George, Paul, John e Ringo fossero ancora insieme e la loro storia non fosse mai stata nè colpita da oscure tragedie nè mai terminata artisticamente.

Qualche giorno fa Sir Paul McCartney festeggiava un anno in più. Ma io lo ricordo ancora così, con la barba grossa e quello sguardo bambino, seduto al pianoforte dei Twickenham Studios a cantare – LET IT BE

Guido Tognetti

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